sabato 4 luglio 2015

Comunicato della Comunità Polacca in Italia





Il blog “L’Olocausto visto dai polacchi” nasce come risposta della comunità polacca in Italia ai troppo frequenti errori dei media italiani nell’uso della terminologia “campi di sterminio polacchi”, “campi di concentramento polacchi”, “lager polacchi”, “campi di sterminio in Polonia”.
Siamo stanchi della disattenzione, dell’ignoranza storica e di eventuali insinuazioni inconsapevoli o volute che provocano confusione storica e ledono il buon nome della Polonia e dei suoi cittadini.
Sia chiaro che i polacchi sono stati le vittime del nazismo e dell’Olocausto!

Vogliamo ricordare ai giornalisti italiani e a tutti che nei loro scritti trattano il tema cosi delicato come l’Olocausto, che:
-       nel periodo della seconda guerra mondiale i territori polacchi erano occupati e divisi tra il Terzo Reich, il Governatorato Generale nazista e l’URSS.
-       la denominazione corretta, approvata nel 2007 dall'UNESCO con l'appoggio d’Israele, del principale campo di sterminio situato nei territori polacchi annessi al Terzo Reich è Auschwitz Birkenau German Nazi Concentration and Extermination camp (Auschwitz Birekenau Campo di concentramento e di sterminio nazista). Perciò Auschwitz non si trovava nella Polonia, ma nel Terzo Reich.
-       anche il primo campo di sterminio Kulmhof am Ner, sorto già nel 1941, fu allestito nei territori occupati polacchi dal Terzo Reich
-       altri campi di sterminio nell’ambito dell’operazione Reinhardt (Sonderkommando Belzec der Waffen-SS, SS-Sonderkommando Treblinka, SS-Sonderkommando Sobibor), anche essi allestiti nei territori occupati, furono collocati nel Governatorato Generale e non in Polonia, e la loro denominazione corretta è: “I campi di sterminio nazisti situati nei territori polacchi occupati”.

Il rispetto della terminologia appropriata ci sembra molto importante nel caso di messaggi e notizie veicolate a mezzo stampa, internet e social network, perciò invitiamo i giornalisti italiani a mantenere la massima attenzione e non compiere gli errori o rettificare questi già commessi, perché essi urtano la sensibilità di un popolo e offendono la memoria delle vittime dell’Olocausto.

La Comunità Polacca in Italia

giovedì 2 luglio 2015

I “campi di sterminio polacchi” non esistono!


Campo tedesco nazista di concentramento e di sterminio Auschwitz-Birkenau

L’uso del termine “campi di sterminio polacchi”, anche nel senso dell’indicazione geografica, è inaccettabile, in quanto nel periodo della seconda guerra mondiale lo Stato polacco era sotto occupazione. Una parte di esso è stata annessa direttamente al Terzo Reich, una seconda parte riguarda il territorio che fu proclamato Governatorato Generale tedesco, la terza parte è stata occupata dall'Unione Sovietica. La Polonia e i suoi cittadini furono dunque le vittime del nazismo.
Uniche autorità legali e riconosciute nella Polonia occupata furono il Governo Polacco in Esilio (prima in Francia, poi a Londra) e il Consiglio Nazionale (organo funzionante in sostituzione del parlamento). Nelle strutture clandestine dello stato polacco nei territori occupati funzionavano anche delle organizzazioni che aiutavano gli ebrei polacchi, come Żegota (Consiglio per gli aiuti agli ebrei). Nei confronti dei collaborazionisti polacchi venivano emesse delle sentenze di morte, eseguite dalla resistenza.
Nel Governatorato Generale vigevano leggi particolarmente severe nei confronti di chi aiutava o nascondeva persone di religione ebraica: un reato punibile con la morte, esteso, oltre al colpevole, anche alla sua famiglia e al vicinato. La punizione prevedeva impiccagioni  pubbliche ed esecuzioni di massa. Ci sono esempi di intere famiglie e di villaggi che hanno pagato con la morte e la distruzione l’aiuto da loro dato agli ebrei.
L’onorificenza “Giusti tra le nazioni” è stata assegnata finora a 6.532 polacchi, cioè a circa il 26% di tutte le persone del mondo che l’hanno ricevuta (25 685).
Nonostante le accuse di antisemitismo (cresciuto tra le due guerre, cosa che creò un clima favorevole e i presupposti per la Shoah), la verità è che la maggioranza dei cittadini polacchi ha mantenuto un comportamento “neutrale” nei confronti dello sterminio, in quanto loro stessi vivevano nel terrore nazista e nel pericolo di morte. Bisogna sottolineare che i cittadini polacchi non collaboravano con gli occupanti tedeschi.
“La fabbrica della morte” realizzata dall’apparato nazista del Terzo Reich poteva contare su oltre 42 mila strutture.  Sul territorio polacco occupato fu allestita dalla polizia nazista una fitta rete di migliaia di campi di prigionia, di smistamento e di lavoro, dove furono deportati oppositori polacchi, prigionieri polacchi di guerra, l’inteligencja polacca, proprietari di fabbriche, insegnanti, religiosi ed anche bambini rimasti orfani che non avevano i requisiti per la germanizzazione.
Il primo campo di questo tipo fu aperto il 9 ottobre 1939 nella mia città natale Lodz - che all’epoca della seconda guerra mondiale fu denominata dai tedeschi Litzmannstadt - fu chiamato Radegast e durante la guerra aveva avuto varie trasformazioni. Nella prima fase servì come prigione temporanea per le vittime dell’Intelligenzaktion Litzmannstadt (l’azione di sterminio di tutta la classe dirigente e intellettuale della città e delle sue zone limitrofe, che attraverso le esecuzioni di massa nei boschi circostanti, durò fino al 1940 mentre azioni simili sono state effettuate in tutte le regioni, come la famosa AB-Aktion a Cracovia). Sulle liste di proscrizione della Gestapo, preparate prima della guerra, c’erano 160 mila polacchi.
Conseguentemente a Radegast furono trattenuti i giovani di Lodz arrestati in una retata e poi deportati nel campo di concentramento di Dachau. Il campo Radegast fu protagonista anche dell’ultimo cruento atto di guerra: nel gennaio 1945, la notte prima della liberazione della città, furono bruciati vivi tutti i 1500 prigionieri, in prevalenza maschi adulti polacchi.
A Litzmannstadt esisteva anche il Campo di concentramento per i bambini polacchi. In maggioranza erano gli orfani dei genitori polacchi mandati nei campi di lavoro, concentramento e sterminio. C’erano i figli dei prigionieri politici polacchi (chiamati terroristi) ed anche i cosiddetti “bambini di Zamojszczyzna”, vittime delle deportazioni forzate dai territori oggi confinanti con l’Ucraina, luoghi della prima colonizzazione nazista secondo la teoria di Lebensraum. Sono stati almeno 30.000 i “bambini di Zamojszczyzna”, strappati ai genitori, germanizzati o mandati a morire. Questo crimine fu giudicato anche nel processo di Norimberga.
Secondo le stime dell’Istituto Polacco della Memoria (IPN – Istituto della Memoria Nazionale), nel periodo dell’occupazione nazista sono morti 2.770.000 polacchi di cui: 506.000 sterminati nelle esecuzioni di massa e nelle camere a gas; e 1.146.000 deceduti nelle prigioni o nei campi di concentramento, smistamento o lavoro, a causa di: torture, esecuzioni, percosse, fame, malattie o lavoro debilitante. I più importanti campi di concentramento PER I POLACCHI furono: Übergangslager in Hohensalza (Inowroclaw), Durchgangslager für polnische Zivilgefangene in Soldau (Działdowo), Internierungslager Gotenhafen (Gdynia), Übergangslager Danzig-Victoria (Gdańsk), Zivilgefangenenlager Stutthof (Sztutowo), Internierungslager Bromberg (Bydgoszcz). In quello più conosciuto in Italia, Campo di concentramento di Soldau, sono morti anche due vescovi polacchi: Antoni Julian Nowowiejski e Leon Wetmanski.  Un gruppo di 728 prigionieri politici polacchi provenienti da Tarnów furono i primi deportati ad Auschwitz il 14 giugno 1940. Bisogna anche ricordare che gli esperimenti pseudo medici nei campi di concentramento situati nel Terzo Reich, erano condotti in prevalenza su prigionieri polacchi (a Ravensbruck alle giovani donne polacche si asportava una parte delle ossa delle gambe).
Prima della seconda guerra mondiale in Polonia abitavano 3.460.000 ebrei. Dal XIII secolo fino alla terza spartizione della Polonia (1795) il mio paese aveva la fama dello stato più tollerante d’Europa, dove gli ebrei perseguitati altrove, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Ungheria, Austria, potevano trovare protezione, libertà religiosa e condizioni favorevoli di vita.
Perché oltre la metà degli ebrei europei nel 1939 viveva in Polonia? Questa domanda richiederebbe una risposta più lunga e articolata. Ma va ricordato che il primo incendio di una sinagoga e il pogrom contro gli ebrei nell'Europa cristiana si sono verificati nell’anno 388 a Brescia, sotto la guida del vescovo Filastro. Il primo ghetto fu creato a Venezia nel 1516. Già nel 1257 nello Stato Pontificio gli ebrei furono costretti ad indossare degli emblemi distintivi (cerchi gialli per gli uomini e strisce blu per le donne). Durante il carnevale nel Medio Evo a Roma il punto forte erano i Giochi di Agone a Testaccio, che prevedevano che i contendenti si sfidassero a cavallo di ebrei nudi rastrellati nel ghetto.
La mia città natale, Lodz, si sviluppò e prosperò grazie alla convivenza culturale ed etnica di polacchi, ebrei, tedeschi e russi.
Il primo ghetto, inteso come “quartiere ebraico chiuso”, creato dagli occupanti nazisti sul suolo polacco, fu quello della vicina città Piotrkow Trybunalski l’8 ottobre 1939. Il Litzmannstad Getto fu istituito come secondo l’8 febbraio 1940 e, dopo il ghetto di Varsavia, fu quello più grande e funzionò più a lungo. Il ruolo di presidente del Judenrat (Consiglio Ebraico) fu ricoperto da Mordechai Chaim Rumkowski, chiamato da Primo Levi nel suo libro “I sommersi e i salvati” Re dei Giudei. Qualche anno fa come curatore ho organizzato a Roma una mostra fotografica sui bambini del ghetto di Lodz, nella quale, attraverso le fotografie di Mendel Grosman e Henryk Ross (custodite nell’Archivio Statale di Lodz e che per la prima volta sono uscite dalla Polonia), è stato raccontato il capitolo più triste di questa storia: la così detta “grande retata” del 4 settembre del 1942, quando Rumkowski sacrificò 15 mila persone tra vecchi, malati e bambini sotto i 10 anni, che furono gassati e bruciati nel campo di sterminio di Kulmhof am Ner. Per quella mostra ho ricevuto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, oltre a quello della Regione Lazio, della Provincia di Roma, del Comune di Roma e della Comunità Ebraica di Roma.
Ho visitato il campo di Kulmhof am Ner nel settembre scorso, con il vicesindaco e il rabbino di Lodz, i sopravvissuti del Litzmannstadt Getto e i loro parenti. L’orrore di quel posto è agghiacciante e inimmaginabile. E’ una radura vuota tra i boschi, che nasconde le ceneri di quasi 300 mila corpi umani. Qui furono sterminati, oltre agli ebrei di Lodz e di altri stati d’Europa (Austria, Belgio, Francia, Olanda, Ungheria), anche “i bambini di Zamojszczyzna”, gli zingari (rinchiusi in un campo di concentramento a Litzmannstadt), soldati sovietici, malati mentali polacchi (continuazione dell’Aktion T-4), religiosi polacchi e probabilmente un gruppo di bambini cechi. Il campo di Kulmhof, situato a 70 chilometri da Lodz, fu creato nel novembre del 1941 e cominciò a funzionare come primo campo di sterminio nazista nel territorio della Polonia occupata, annesso direttamente al Terzo Reich, ancor prima della Conferenza di Wannsee, dove fu varata “la soluzione finale”. Dopo la suddetta conferenza, nell’ambito dell’operazione Reinhardt, nei territori polacchi sotto il Governatorato Generale furono costruiti altri tre campi di sterminio: Sonderkommando Belzec der Waffen-SS, SS-Sonderkommando Treblinka, SS-Sonderkommando Sobibor. Nel mio pellegrinaggio" ho visitato già diversi campi di concentramento e di sterminio nazisti realizzati nella Polonia occupata, e che oggi sono diventati santuari di memoria.
A Lodz nacque anche Jan Romuald Kozielewski, noto come Jan Karski. Era un ufficiale della resistenza polacca (Esercito Nazionale), finito diverse volte nelle mani degli occupanti, prima dei sovietici e poi dei nazisti, al quale furono affidate le missioni di spionaggio e di collegamento con il Governo Polacco in Esilio e poi importanti missioni diplomatiche all’estero per informare il ministro degli esteri britannico Antony Eden e il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosvelt sulla tragedia degli ebrei in Polonia e chiedere il loro aiuto. I “Rapporti di Karski” furono la prima fonte d’informazione sull’Olocausto nazista in atto.
Il 10 dicembre 1942 fu preparata la nota diplomatica ufficiale del ministro degli esteri del governo polacco in esilio Edward Raczynski sulla situazione degli ebrei nei territori occupati, basatasi sul rapporto di Karski e mandata ai governi membri dell’ONU.
Nel campo di Auschwitz per tre anni fu imprigionato Witold Pielecki, responsabile della formazione di una cellula di opposizione polacca (ZOW). Si fece arrestare volontariamente nel 1940, la sua evasione fu organizzata con successo nel 1943. Pielecki preparò tre rapporti sull’Olocausto. In questo campo funzionava una cellula di 1.000 persone formata da lui, pronta alla rivolta nel caso di aiuto dall’esterno.
L’insurrezione del ghetto di Varsavia dell’aprile 1943 ebbe l’appoggio del governo londinese del generale Sikorski, ma fu soffocata dai nazisti nell’assoluta indifferenza del mondo. Per protesta, Shmuel Zygielbojm, membro del Consiglio Nazionale in Esilio, delegato del partito Bund (Unione Generale dei Lavoratori Ebrei), si suicidò con il gas il 12 maggio 1943 a Londra.
Infine bisogna ricordare che anche l’insurrezione di Varsavia del ‘44, che costò la vita di 200 mila civili polacchi e la perdita del patrimonio culturale della capitale, non poté contare su alcun aiuto. 
Durante la seconda guerra mondiale la Polonia ha subito le più gravi perdite e danni demografici tra tutti gli stati occupati. Sia il Terzo Reich, sia l'Unione Sovietica, hanno praticato nei confronti dei cittadini polacchi lo sterminio e il genocidio, la politica di snazionalizzazione, la distruzione biologica e culturale, le espulsioni di massa, la riduzione in schiavitù attraverso il lavoro forzato e il reclutamento coatto nei loro eserciti.
Non c'è famiglia polacca che tra il 1939 e il 1945 non subì una qualche persecuzione. Ad esempio, la mia famiglia da parte del nonno paterno fu sfrattata a forza dalla casa situata nel territorio sul quale fu istituito il ghetto di Lodz, e il nonno venne arrestato in occasione di un rastrellamento e mandato ai lavori forzati in Germania.
Le cifre dell’Olocausto tuttora non sono certe. Si stima che le vittime della Shoah siano tra i 5 e i 6 milioni, di cui 3,5 milioni di ebrei polacchi (per la precisione il 90% della popolazione di religione ebraica esistente nei territori polacchi nel 1939). Ma lo sterminio nazista toccò tutte le popolazioni delle regioni orientali europee occupate, ritenute "inferiori", e include quindi cittadini di diverse nazioni (spesso anche bambini), prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, etnie (quali Rom, Sinti, Jenisch), testimoni di Geova, pentecostali, omosessuali, malati di mente e portatori di handicap.
Si può discutere dell’antisemitismo polacco sfociato tra le due guerre e delle sue radici culturali e religiose, del deturpamento morale di una nazione decapitata attraverso lo sterminio della sua classe intellettuale e politica, vissuta nel terrore nazista. Si può parlare dei casi di pogrom avvenuti durante la guerra (come quello di Jedwabne del 1941), e dopo la guerra (come quello di Kielce del 1946). Bisogna riflettere sulle circostanze favorevoli allo svolgimento dell’operazione Reinhardt nei territori polacchi e sul ruolo della “zona grigia” che comprendeva i Volksdeutsche (persone che hanno rinnegato la nazionalità polacca e assunto quella tedesca), gli ebrei polacchi, i polacchi che denunciavano, vendevano o ricattavano gli ebrei per ragioni economiche. Le controversie possono riguardare i casi di collaborazione della polizia polacca con nazisti e l’impiego dei ferrovieri polacchi nei convogli della morte; di sciacallaggio dei beni delle vittime e poi anche dei luoghi dello sterminio. Ci si può rammaricare per la custodia inadeguata dei luoghi della memoria per mancanza di fondi. Il problema odierno è costituito dal linguaggio dell’odio e dagli atti vandalici a sfondo antigiudaico.
Ma non si può aggravare la confusione già esistente sulla storia dell’Olocausto attraverso l’utilizzo (inconsapevole o voluto) di espressioni erronee quali “lager polacco” o “campo di sterminio polacco”, perché ciò costituisce un grave e pericoloso errore che deforma la verità storica sullo sterminio perpetrato dallo stato nazista tedesco sul territorio occupato della Polonia e che insinua il dubbio sulle responsabilità dello stesso, offendendo così la memoria dei cittadini polacchi, che furono le vittime del nazismo.

 
Agnieszka Zakrzewicz,
giornalista polacca, membro dell’Associazione della Stampa Estera in Italia